Jean Starobinski di Annalisa Cima, con una nota di Cosimo Ceccuti, edito da Nuova Antologia
Jean Starobinski
Lugano, 6,4,2019
Il 10 di gennaio del 1991 si festeggiavano in Svizzera i settecento anni della costituzione della Confederazione, Jean Starobinski era ovviamente l’ospite d’onore Approfittando della sua venuta in Ticino, decidemmo telefonicamente di riunire degli amici a casa mia per una cenetta in suo onore.
Arrivò puntualissimo fuggito con evidente sollievo ai riti delle manifestazioni pubbliche. Jacqueline al suo fianco, pallidi e sorridenti, parevano le due facce d’una stessa medaglia, in platino.
La sua voce sfiorava i presenti, ora salutando in italiano ora in francese, con cadenza dolce e affettuosa.
L’avevo conosciuto grazie a Eugenio Montale, infatti Jean Starobinski fu invitato tra i primi a far parte del Comitato Scientifico della Fondazione Schlesinger, creata da Eugenio Montale da Cesare Segre e da me nell’anno 1978, lo Statuto della Fondazione Schlesinger era stato riletto con Giovanni Spadolini che ci raccomandò di tenerla privata per poter avere la libertà delle scelte, altrimenti correvamo il rischio che si ingerissero politici imponendoci autori.
Non a caso Eugenio Montale nell’incipit della poesia di Diario Postumo dedicata a Giovanni Spadolini scrive “Più storico che politico”.
Accanto a Giovanni Spadolini i primi ad esser invitati nella “Associazione della Fondazione Schlesinger detta Fondazione Schlesinger che rimase privata come Giovanni Spadolini aveva consigliato, basata su affinità elettive e non sul denaro. ( Ognuno di noi scriveva e dava consigli gratuitamente) onorati di far parte del Comitato Scientifico della Fondazione Schlesinger, accettarono oltre a Jean Starobinski,Vanni Scheiwiller, Manuel Alvar, Roman Jakobson, Deborah Deutschman, Claudio Magris, Giulio Carlo Argan, Gregorio Sciltian (Grigorij Ivanovič Šiltjan), Dino Buzzati, Fausto Melotti, Amelia Rosselli, Carlo Ginsburg, Allen Mandelbaum, Pietro Calissano, Natalia Danesi Murray. Alberto Sartoris, Carla Prina, Rinaldo Bianda, Silvio Ceccato, Emilio Vedova, Allen Ginsberg, Marianne Moore, Aldo Palazzeschi, Alberto Lattuada, Luchino Visconti, Giorgio Albertazzi, Giovanni Pozzi, Andrea Zanzotto, Murilo Mendes, Jorge Guillén, Edgar Lorch, Albino Pierro, Antonio Pizzuto, Gianfranco Contini.
La sera del dieci gennaio del 1991 Jean Starobinski venne presentato ai miei amici, tutti appassionati di musica.
Sempre in Diario postumo nella poesia dedicata a Jean Starobinski Eugenio Montale lo definisce “Scrittore e musico della parola”.
Presenti alla cena in onore di Jean Starobinski c’erano gli amici appartenenti alla Fondazione: da Cesare Segre a padre Giovanni Pozzi, da Vico Faggi arrivato da Genova a Gigi Fenga, da Mario Tiengo a Carla Prina e Alberto Sartoris, Alfredo Leonardi, Ernesto Calzavara, dal professor monsignor Natale Ghiglione, ad Armanda Guiducci, da Lia e Dario Del Corno al figlio Filippo che eseguì al pianoforte una sua composizione in onore di Jean Starobinski da Mauro Mancia, ad Andrea e Marisa Zanzotto.
Con Jean Starobinski e Jacqueline sua moglie e sua anima gemella, stavamo parlando accanto al camino, commentando il nudo di Marino Marini appeso nel riquadro della boiserie. Vidi venire verso di noi, il caro amico Dario Del Corno e lo presentai agli Starobinski. Jacqueline ed io continuammo il commento intrapreso prima a tre e quasi non m’accorsi d’aver solo lei come interlocutrice. Gli Starobinski erano così affiatati e in totale osmosi da poter proseguire il filo del discorso senza neppure accorgersi della sostituzione di persona.
Jacqueline vide sul pianoforte vari spartiti con musiche di Chopin e mi raccontò che Aron padre di Jean era d’origine polacca come Chopin, il mio compositore preferito,le risposi, amato alla follia anche dal mio maestro Arturo Benedetti Michelangeli.
Con Jacqueline Starobinski ci perdemmo tra le note, Laureatasi in lettere e in medicina poteva correre su binari paralleli come se musica, medicina e letteratura fossero anelli d’una stessa catena, come in effetti sono.
Vennero verso di noi, Jean Starobinski con mio marito Friedrich (Fritz), parlavano di Vienna delle origini polacche di Fritz, da parte di padre: Glombik, architetto e cattolico che per non farsi notare, andava in motocicletta sino in Polonia per portare viveri e denaro, fu colpito dai tedeschi e perdette un occhio, ma per fortuna non fu catturato.
Poi Jean Starobinski continuò ad interrogare Fritz, parlarono di musica e il nome dello zio di Fritz, fratello di Gertrude, mamma di Fritz, professor dottor Otto Fritz, non gli era nuovo (direttore del Volksoper di Vienna era docente all’Istituto di scienze teatrali e della Staatsoper.) Così Friedrich poté sin da bambino sentire le opere dal proszeniumsloge e innamorarsi della musica classica e operistica in particolare. Il ramo ebraico di Fritz discendeva invece da una parente siciliano-austriaca da parte di Gertrude mamma di Friedrich.
Jean Starobinski non aveva conosciuto Fritz nel 1978 quando si creò la Fondazione, lo conobbe a Lugano nel 1984, quando venimmo ad abitare, per questa ragione sottopose Fritz ad una seduta di psicanalisi, voleva accertarsi che in veste di presidente della Fondazione, come Eugenio Montale e Cesare Segre m’avevano voluta, avessi un degno compagno.
Tutti gli amici presenti avevano letto nell’Annuario del 1989, edito dalla Fondazione, il saggio di Jean Starobinski, allora inedito, dal titolo “Les douleurs du pendu. Sur la sensorialité organique dans une allegorie des Fleurs du Mal”.
Generoso, come sempre, m’aveva fatto dono d’un saggio.
Di Jean Starobinski si potrebbe dire, parafrasando Federico Garcia Lorca:
“Tarderà molto a nascere se nasce” un saggista e scrittore così puro, ccosì ricco d’avventura, penetrato in tutti i mondi della speculazione e dell’arte visiva.
Al centro della sua vita di scrittore, due giganti: Michel de Montaigne (nato nel 1533, nel Castello di Montaigne, Saint-Michel-de-Montaigne, Francia) e Jean-Jacque Rousseau (nato a Ginevra nel 1712 Svizzera).
Si attribuisce a Bernardo di Chartres la frase: “siamo come nani sulle spalle di giganti, …….perché siamo sollevati e portati in alto dalla statura dei giganti.”
Annalisa Cima