Autopresentazione poetica
Sono monolitica, monocorde, monocellulare,
come la roccia, come la nenia, come il verme.
Sono antografa, antropomorfica, ancestrale,
come i fiori, gli dei delle caverne, gli avi.
Sono lieta e non lieta, lieve e letale, palese e segreta.
Vivo la contraddizione d'essere angelo ed Erinni.
In un' aurora boreale so cantare e Citeréa m'appare.
Amo Driadi e Silvani, non i poeti nani
e le loro orme che chiamano versi.
Odio chierici e conversi, predatori e untuosi lodatori.
Del mio crine arricciato dal vento e dal sale
che risale dal cranio in superficie, gioisco
e lavo la mia mente nella fonte piovana dell' amore.
L' ardire e la passione conducono i miei passi.
Luoghi e laghi lambiti da esecrata gente,
udite questo canto in cui mi tuffo: è tempo.
Ora m'illudo d'esser alba, perchè vesto di rosa
ed ora d'esser notte, perchè vesto di nero,
solo nel pensiero tesso amori errabondi.
Ora so di saper quello che ignoro.
Pesci, serpenti, aquile e leoni hanno in successioni
impressionato la lastra del nascente.
Conosco il linguaggio degli dei e dei mostri-umani.
Con luna e stelle vagheggio l'alba che di rosso
s'irrora, s'accende e dissolve nell'infausto giorno.
Resto nell'iperborea immensa terra, confusa
inondata di ombre, di stridii e di veleni
tra vuoti e pieni di sentieri senza sbocchi,
ad aspettare l'eterno cantore che mi riporti
il canto dell'amore smarrito. Avrà in dono una rosa.