Annalisa Cima
Premessa a Diario postumo
 (prosa)
66 poesie e altre 
di Eugenio Montale 
A.Mondadori, Milano 1996

 

Quel che occorreva a Montale per sopportare, con minor angoscia, il peso degli anni era di poter contare su qualcuno: un discepolo, quasi un figlio, che gli fosse cosí fedele da sfidare le burrasche che il macchinoso disegno, da tempo pensato, avrebbe inevitabilmente provocato dopo la sua morte. 
E il caso volle che, conosciutami, vedesse in me tratti che lo rassicuravano: quella malinconica-allegria, il coraggioso-spleen; la sete d'amicizia fine a se stessa e un certo amore per il paradosso.
Poi seguirono le piccole prove: una poesia, una critica, un dono, per saggiare il terreno.
Nella sua giovinezza, Montale aveva appreso che la musica e la poesia distraggono dalla cupezza della vita e dalla noia che gli altri ci procurano; vincono insomma la malinconia che accompagna ogni nostro gesto. Nella vecchiaia, d'improvviso, l'amicizia gli era sembrata l'unica via d'uscita per assaporare il piacere di una proiezione che lo distraesse dal senso d'impotenza che lo aveva accompagnato per tutta la vita: impotenza a combattere gli altri, paura del presente, ma anche dell'ignoto, del futuro. E riempire questo futuro con un progetto concreto forse gli sembrò il modo migliore per esorcizzarlo.
Capii, allora, che il progetto lo tranquillizzava, lo divertiva; era un modo per farsi ricordare a dispetto della morte, un modo poetico di sfuggire alle regole del tempo.
Accettai, dunque, la rosa di poesie che volle affidarmi a continuazione di quell'opera che egli stesso aveva detto "bisogna leggere nella sua totalità". E mentre mi persuadeva dell'importanza di questo continuum, che solo poteva vincere la morte, il suo volto si rischiarava all'idea del segreto che lo avrebbe aiutato e distratto anche nei momenti piú tristi.
Ad ogni incontro, mi annunciava una sorpresa, una poesia, spesso un gioco, per integrare il progetto.
I dialoghi sugli amici, di solito, precedevano le poesie che immancabilmente mi donava.
Un immaginario staterello di persone nominate, una comune-castello prendeva forma poco a poco, e in essa l'imperatrice, con a fianco i suoi consiglieri.
Forse, piú che un diario, questo dono di Montale a tutti noi è una favola che ci racconta come la forza dell'amicizia e della poesia possano rendere reale un sogno. 
Per non lasciarci sconfiggere dalla morte dobbiamo avere un sogno da proseguire, sembra suggerirci Montale. La sua religione fatta di oggetti, di presenze ai margini dell'esistenza e di musica, può essere riassunta nel bel verso "Tutta la vita è una musica" che sfocia in questo canzoniere del divenire.
Il significato del suo piano prestabilito è forse un desiderio di eternità, di un futuro da opporre all'approssimarsi della morte.
Da vecchi non si può vivere solo di memorie, Montale voleva "una morte che vive"; e la cercò attraverso una lente arbitraria, per poter mettere a fuoco le ombre usò una fotografia rovesciata, per dare al dopo il sapore del presente.
Occorreva un tempo riflesso, scandito, quasi a voler significare che anche lo spazio senza fine ha dei suoi ritmi e dei destinatari.
È questo il suo ultimo atto d'amore verso le persone a lui care.
I motivi ricorrenti sono quelli della paternità fisica, della maternità poetica, che fanno riecheggiare i versi ben noti di Montale: "tutto comincia quando tutto pare / incarbonirsi…".
Susseguirsi di ricordi, di spezzoni di vita, di condanne al consumismo, all'utilitarismo e ritratti d'amici: nulla è cambiato, solo l'ordine dello spazio e del tempo, che il poeta rovescia, regalandoci una vita atemporale e un dopo con un suo tempo del vivere ben prestabilito.
L'oblio si rivela come uno stato d'impotenza dell'essere mortali; da qui la saggia follia di chi, per riempire un vuoto, inventa un nuovo senso della vita attraverso poesie che ci invia dall'aldilà.
Lo spazio della suprema incertezza si trasforma in un tempo preciso: undici anni. La presenza del poeta assente è la conferma dell'uomo tragico celato in Montale che, conscio che tutti gli oggetti e cose inanimate ci sopravvivono, cerca un'eternità nell'imitazione delle loro esistenze. Lasciare erede qualcuno non è solo un atto di magnanimità, in questo caso è un modo per restare materiato in fogli, buste, scritti, è l'esigenza di creare un mondo dopo di noi dove la presenza della parola sia attualizzata, rivolta all'amico in quell'istante prezioso che è il presente.
Montale, visitatore dell'altro mondo, compie un viaggio nel dopo per desiderio di una seconda vita; questa è la chiave dell'enigma che lasciò sotto forma di dono
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Annalisa Cima

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