Annalisa Cima
Aegri Somnia (poesie)
con prefazione di Dario Del Corno e
un'acquaforte di Fabio Zanzotto
impresso dalla Stamperia Valdonega
in 100 copie numerate da 1 a 100
Verona, 1989
presentazione di Dario Del Corno a
AEGRI SOMNIA
"Sogni di malato": e al primo impulso verrebbe da pensare a una sorta di, per così dire, irrealtà al quadrato, dove al carattere di per sé labile e illusorio dell'immagine onirica si aggiungesse la febbrile deformazione del delirio. Non è allo straniamento della mente, sotto la specie della mania e della possessione, che fino dagli albori del ragionare critico sull'arte si riconduce la fonte della creazione poetica? E d'altra parte: suona quasi empio imputare al gusto e all'ironia di Annalisa Cima una tanto scontata eco di formule vetuste. Ogni titolo ben apposto deve celare una parte d'enigma: e dunque occorre rivolgersi al testo per decifrare la riposta intenzione della sua epigrafe. Allora, forse la chiave sta in quell'esplosivo ossimoro, la "forza del grande malato", che fa da fulcro a Ore rotundo. Fra i miti con cui i Greci espressero le verità profonde della condizione umana c'è la figura della menomazione come privilegio, della piaga del corpo come indizio di un'elezione che si sottrae al razionale, e che di conseguenza è tanto più assoluta delle faticose conquiste della volontà. L'eroe prescelto dal mistero dolente e benedetto della malattia è Filottete: il solitario protagonista dell'esilio forzato nell'isola di Lemno, reietto dall'esercito acheo per l'orrore della sua immedicabile ferita. Ma chi lo ha segregato nel lungo abbandono sarà anche costretto a implorare il suo soccorso: a lui appartiene l'arco senza il quale non è possibile conquistare Troia, per l'arcano contrappasso che fa dipendere il più forte, secondo l'illusione dei parametri umani, dal più debole. Ma la condanna che diventa premio è un mistero soltanto nella legge del mito: ossia è un simbolo, che va interpretato. Filottete è chiamato a sciogliere il nodo della storia, perché egli è fuori dalla storia. Il suo male l'ha isolato dai traumi transeunti del contingente: lo salva dal tempo, gli offre come compenso l'immobilità della sapienza. Allo strazio del male egli ha opposto la forza d'acciaio di un "pensiero da pensare"; nel confronto assoluto con l'autenticità del reale Filottete ha compreso il percorso ciclico del sole e delle stagioni, che è lo stesso dell'esistenza umana, per cui "principio e fine/ son la stessa cosa". E Filottete, nel segno di un amore totale che ignora le qualificazioni umane, può donare al giovane Neottolemo, venuto a lui "puro d'ogni colpa", il "rifugio protetto" della sua verità. Era un rischio da prevedere che lo studioso di cose antiche, chiamato a parlare di poesia dei nostri giorni, finisse per leggerla nella filigrana dei suoi millenari fantasmi: che Annalisa perdoni all'amico se non è stato capace di salvarsi, e soprattutto di sa,lvarla, dal pozzo profondo del passato! Al punto di attribuire all'antico eroe pensieri e parole, che in questi versi sono perentoriamente personali. Ma nel suo deserto dolceamaro Filottete ha intuito e fatto suo i grandi nessi del reale; quello che mi ha stupefatto e ammaliato nel ciclo di queste poesie è la conquista di una realtà che innerva i fenomeni e insieme li vanifica: la sapienza che nasce dalla macerazione del corporeo, la predestinazione radiosa del dolore. "Mali"-mari attraversati con ala di gabbiano, il presagio di dover "salpare", le "certezze alle tempeste", il mare che "unisce i luoghi che separa" sono i segni dell'isola dello spirito, da cui l'escluso dai fasti della storia contempla i trionfi che accompagnano i "vasi dai facili onori". Chi ha in retaggio "il volo nel sapere/ la nostalgia del vero" ripudia il tempo e le sue mutazioni, la catena alienata "del precedente e del conseguente", le scissioni della causalità, i legami "del dopo e del domani". Conosce soltanto l'estasi del presente, le note "che tenevi in serbo solo per quell'ora"; e sa che al lampo della vita seguirà l'oblio, perché "tutti andranno via", e "la morte tenderà la mano". Ma il romito dell'isola è destinato a un'emozione più grande della sapienza: allorché "gli avi e i fati" accettano di rivelare il loro favore, enigmaticamente alluso nella ferita del corpo. La ragione vuole escludere il passato da quest'universo del presente; ma la memoria fa appello a una ragione più forte: è "quel giorno quando t'incontrai", e nella mente rimase scritto amantes amentes. Per possedere il reale in tutta la sua complessità occorre anche conoscere lo spasimo del sentimento; e la forza, la festa interiore di questi versi è la consapevolezza che esiste "l'evento che giustifichi il vivere, il pensare" - l'amore
Dario Del Corno