Annalisa Cima
Le reazioni di Montale (conversazioni)
Eugenio Montale
a cura di Annalisa Cima
e Cesare Segre
Bompiani,
Milano, 1996
Annalisa Cima - C'è chi sottolinea la continuità e omogeneità della sua poesia, e chi ne rileva l'incessante evoluzione. Discorso che può essere portato, alternativamente o parallelamente, sulla tematica o su elementi minimi dell'espressione. Qual è il suo parere al riguardo?
Eugenio Montale - Io vedo una certa continuità fra i primi tre libri (Ossi di seppia, Le occasioni, La bufera); nei successivi 'cè come il rovescio della medaglia, l'apertura del retrobottega del poeta. Il passaggio non è cosí netto: alcune poesie di Satura (come "L'Arno a Rovezzano") potrebbero anche figurare ne La bufera, poi c'è l'intermezzo di Xenia, poi una parte piú nuova, gnomica. Decisamente diaristici gli ultimi due libri, che si capiscono meglio conoscendo i precedenti. Sono poesie scritte giorno per giorno, appunti per poesie che poi non ho pensato di scrivere, perché gli appunti bastavano. L'unità è data dal loro assieme.
I primo tre libri sono scritti in frac, gli altri in pigiama, o diciamo in abito da passeggio. Forse mi sono reso conto che non potevo continuare a inneggiare a Clizia, alla Volpe, a Iride, che del resto non esistevano piú nella mia vita. Quando scrivevo i primi libri non sapevo che avrei raggiunto gli ottant'anni. Passati gli anni, guardandovi dentro ho scoperto che si poteva fare altro, l'opposto anche. Poi c'è un fatto di orecchio, di orecchio musicale (i critici non ne tengono abbastanza conto): ho voluto suonare il pianoforte in un'altra maniera, piú discreta, piú silenziosa. Ma tutto è venuto spontaneamente, non ho programmato nulla. Non ho neppure scelto la soluzione di Mallarmé, che nei suoi ultimi dieci anni di vita non scrisse piú poesie.
Annalisa Cima - Dunque lei propone una bipartizione netta.
Eugenio Montale - Nemmeno, Nelle ultime raccolte ci sono riprese delle prime, come ci sono temi, spunti e personaggi della Farfalla di Dinard. Sono cambiati l'accento, la voce, l'intonazione. Anche sull'unità degli altri libri ci sarebbe da dire. "Riviere", che è la poesia prediletta dagli incompetenti, è l'epilogo di una fase poetica mai esistita. Per questo non si è mai riusciti a sistemarla criticamente: gli Ossi, di cui è l'ultima composizione, non consentono affatto quella conclusione.
D'altra parte, "Meriggiare pallido e assorto", di quattro anni anteriore a "Riviere", rappresenta un'altra fase possibile. Avevo ritrovato quella poesia molto piú tardi, dopo l'uscita di "Accordi" e "Corno inglese", mediocri e degni di essere anteriori a "Meriggiare": ma in realtà non lo sono stati. Come poeta non mi sono sviluppato tardivamente, ma nemmeno con fenomenale precocità: nel '16, quando scrissi "Meriggiare", avevo vent'anni.
[Ossi di seppia: "Mediterraneo"]
Annalisa Cima - "Mediterraneo" è l'unico ampio poemetto tra le sue raccolte poetiche. Quale ne fu la concezione? E quale opinione ha dei giudizi cosí contrastanti che i critici ne hanno dato?
Eugenio Montale - Ci sono altri poemetti, certo piú brevi: "Dopo una fuga" di Satura in otto parti (piú una soppressa per motivi privati); e pure "Tempi di Bellosguardo". Per "Mediterraneo" non c'è stata un'idea preliminare, ho continuato a scrivere finché ho esaurito l'argomento. Francamente non saprei dire chi dei critici abbia ragione; e poi i critici, se sopravvivono a lungo, spesso mutano i loro giudizi.
[Le occasioni: "Carnevale di Gerti"]
Annalisa Cima - Anche parlando di Gerti lei sembra alludere a se stesso. È lecito considerare i versi "la tua vita quaggiú" ecc. come un suo soliloquio?
Eugenio Montale - Sí, in qualche modo sí. Queste apparizioni femminili, e anche Gerti asburgica come Dora Markus, sono la mia voce. Essendo figure per lo piú inventate (Gerti venne una volta o due a Firenze) in qualche modo avviene uno sdoppiamento.
Annalisa Cima - Sono state dette molte cose intorno alle donne cantate da Montale, ma se lei dovesse tracciare una linea di collegamento tra loro, quale sarebbe il giudizio generico nei confronti della donna? Quali le affinità che avvicinano le donne da lei cantate al poeta stesso? I vari volti delle sue donne non sono forse il suo stesso volto strappate le maschere?
Eugenio Montale - Queste donne sono cosí diverse tra loro, le ho colte nella loro particolarità, un giudizio generale sarebbe impossibile. Alcuno sono comparse, apparizioni. Clizia e la Volpe sono messe in contrasto, una salvifica, come si direbbe adesso, l'altra terrena… dantesche, dantesche. Gerti era una donna che non parlava mai, e questo le dava molto fascino, anche se forse dietro questo silenzio non c'era nulla. È riapparsa in una mia poesia recente, del 12 luglio 1976. Eccola:
Dall'altra sponda
sebbene illetterata fu per noi
una piuma dell'aquila bicefala
questa Gerti che ormai si rifà viva
ogni morte di papa.
Un pezzo di cultura? Un'ascendenza
fatta di carta e muffe?
Interrogata
Si dichiarò in maiuscolo ANTENATA.
Ma come la mettiamo se al tempo degli oroscopi
parve del tutto implume?
Dora Markus non la vidi mai.
Il personaggio piú reale e che resiste nel tempo (si incontra per la prima volta in "La casa dei doganieri" e poi nel Dario del '71) è Annetta. Continuerà a vivere in una nuova poesia, "La capinera".
[Le occasioni: "Infuria sale o grandine?"]
Annalisa Cima - Perché la donna di "Infuria sale o grandine?" accenna con la sua voce a l'"aria delle campanelle" della Lakmé di Dlibes? C'è forse qualche riferimento contenutistico?
Eugenio Montale - Ho voluto suggerire una voce aerea ("trillo d'aria"), trillante. L'"aria delle campanelle" è infatti un pezzo tipico per soprano leggero, pieno di trilli e di vocalizzi.
Alcuni la interpolavano nel Barbiere, a costituire l'aria della lezione. Ora credo si esegua il testo originale di Rossini.
[La bufera: "L'anguilla"]
Annalisa Cima - Orelli dice che nella poesia "L'anguilla" si alternano immagini che fanno pensare al salmone con altre che alludono piú chiaramente all'anguilla.
Eugenio Montale - Può darsi benissimo che io abbia ampliato la sfera di competenza dell'anguilla, ma non me ne sono accorto. So che le anguille fanno lunghi viaggi, ma dove si arrestino non so veramente dire. Ce ne sono nel Baltico? Forse no; ma c'è il capitone, che in Liguria si chiama grongo, e di solito si mangia tagliato a fette. I buongustai non lo apprezzano molto; ma in America lo si mangia nel pranzo di Natale, come pure il tacchino.
Dei salmoni non so molto. Ricordo invece quando, da ragazzi, pescavamo le anguille con la forchetta, in un ruscello sotto casa. Qualche volta abbiamo provato ad accendere il fuoco per cucinarle; ma si carbonizzavano.
[Quaderno di traduzioni: E. Dickinson, "Tempesta"]
Annalisa Cima - Nel primo verso della traduzione dalla Dickinson, lei traduce bugle "suono di corno".
Si può ritenere, con la Bulgheroni, che lei abbia scartato "buccina" o "fanfara" perché denotano "allarme"?
Eugenio Montale - Forse "suono di corno" mi suonava meglio di altri possibili sinonimi. E tra tanti tipi di corni avrei potuto pensare al corno inglese: dà un certo lamento che andrebbe bene qui. Comunque accade spesso che gli errori siano felici.
Annalisa Cima - Nel v. 7 della stessa traduzione, electric moccasin è tradotto "l'elettrico / segnale del Giudizio". Dunque lei ha scartato non solo il troppo connotato "mocassino", ma anche altre eventuali calzature o, con interpretazione metaforica, "passo".
Eugenio Montale - Forse è vero. Il mocassino mi farebbe pensare ai Pellerosse. Certamente ho voluto istituire un nesso tra il "suono di corno" e il "segnale del Giudizio". Un colore smeraldino dev'essere entrato dalla finestra, se non proprio uno spettro.
[Satura: "Botta e risposta I"]
Annalisa Cima - Vuol dirmi qualcosa sulle interlocutrici di "Botta e risposta I, II e III", a cui allude Zanzotto?
Eugenio Montale - Non è casuale che la I e la II prendano l'avvio da lettere datate da Asolo ed Ascona. Sono due tappe quasi obbligatorie del decadentismo: Ascona era la capitale dell'omosessualità intellettuale fine Ottocento e del primo nudismo, Asolo, meno peccaminosa, era comunque prediletta da romantici e raffinati: vi fu piú volte Robert Browning. Sono due residenze non sostituibili da San Pier d'Arena o da Camogli. Le destinatarie sono figure evidentemente immaginarie: Magris le definirebbe lontani echi di un sentimento asburgico (come Gerti). È un'altra linea sottile che collega "Botta e risposta I" e "II". Nulla di comune con "Botta e risposta III", autobiografica, che racconta in sostanza il mio viaggio in Grecia, e la cui destinataria è un personaggio reale: la Dalmati, una delle mie migliori traduttrici, insieme con la Farnsworth. Margherita Dalmati, già assistente di Lavagnini a Palermo, è anche concertista di clavicembalo.
[Satura: "Il grillo di Strasburgo"]
Annalisa Cima - Avalle parla di oggetti "che operano, pensano o, addirittura, esistono in modo autonomo", e finiscono per trasformarsi in miti. Quali sono le motivazioni e i procedimenti di questo suo elevare gli oggetti a simbolo, o persino a miti?
Eugenio Montale - Di volta in volta, un oggetto può prendere un aspetto particolare: importa il nesso in cui l'oggetto si viene a trovare con le situazioni. Per questo può essere imprudente parlare di mito, che implica una costanza di significati. In ogni caso, il processo di selezione avviene nella memoria: non si ricorda una persona, ne resta un segno, un'immagine vaga. Che corporeità possono avere per me una Dora Markus o una Liuba, viste una sola volta, o mai viste? In altri casi, i nomi sono usati per ciò che evocano: cosí Gerti per l'Austria, presente anche in altre poesie. Dirò comunque in generale che io, della vita, ricordo solo le cose insignificanti, le altre mai.
Annalisa Cima - Mi parli di Montale "taumaturgo" e di Montale "mitografo", secondo le suggestive formule di Avalle.
Eugenio Montale - ognuno ha la sua piccola mitologia, e i presagi sono diffusi largamente nella vita di tutti: si annette un significato a minime evenienze della vita, e si pensa di indovinare l'avvenire dal suo verificarsi o meno. Non c'è niente di taumaturgico.
[Diario del '71 e del '72: "Lettera a Malvolio"]
Annalisa Cima - Nella lettera a Malvolio lei sembra dire che, finito il fascismo, le distinzioni e le scelte fra le posizioni etiche paiono diventare piú difficilmente determinabili. Lo conferma? E quali sarebbero le ragioni?
Eugenio Montale - La biforcazione non era cosí netta neanche ai tempi del fascismo: c'erano anche antifascisti stupidi e in malafede. Non c'è dubbio che ora le distinzioni sono ancora piú difficili.
Quello che i giovani non capiscono è che il fascismo suscitò all'inizio grandi entusiasmi poi calati, ma riaccesi alla proclamazione dell'impero. Gli antifascisti professionali danno l'impressione erronea del fascismo come di una piccola cricca che si impadronisce con la violenza del potere. Del resto Croce e tanti altri pensavano che un paio d'anni di fascismo avrebbero sistemato tante cose: non prevedevano vent'anni, e si pentirono presto. C'è anche da parlare della caccia ai posti ed alle onorificenze, come la sciarpa del littorio: Rosai era disperato di non poterla ottenere perché omosessuale. Poi in occasione di un grande raduno un telegramma gli diede la lieta novella. E persino tra gli oppositori alcuni come Noventa o Carocci furono commossi dalla proclamazione dell'impero: proposero una pacificazione generale: gli antifascisti avrebbero chiesto scusa e i fascisti l'avrebbero concessa. Croce e Gentile si sarebbero abbracciati tra tortellini e gagliardetti. Ci furono anche tipi che dicendo male del fascismo facevano soldi ed ottenevano onori: cosí Curzio Malaparte. Solo quando le cose si misero male vi fu una gara a diventare antifascisti. Tutto questo lo dico non per dir bene del fascismo ma per dir male dell'Italia.
Annalisa Cima - E oggi?
Eugenio Montale - Non si dice mai abbastanza chiaramente che la caduta del fascismo ad opera non solo degli antifascisti, ma di fascisti delusi, non abbastanza onusti di cariche importanti, desiderosi di cambiare, destò forte preoccupazione anche in molti antifascisti, che pensarono: quelli hanno già mangiato, e quelli di domani? Un sospetto che ha avuto conferma…
Oggi il disagio è universale: si sta male in Francia, in Inghilterra, dappertutto. Stanno bene San Marino, Andorra, Liechtenstein, gli stati-cassaforte dove tutti mandano soldi.
Annalisa Cima - Ma anche lei ha avuto un'attività politica. Vuole parlarmene? E perché l'ha poi interrotta?
Eugenio Montale - Sí, ho avuto un momento d'interesse politico vago, molto vago, ai tempi di Gobetti: si rattava di dir male di Mussolini. Quando entrai nel Partito d'Azione scrissi anche articoli per il "Mondo", poi vidi che Calamandrei si lasciava abbindolare da persone mediocri. Quella del Partito d'Azione fu una vera moda: quando Milano fu liberata ci furono trecentomila domande di tessera, ma gli iscritti effettivi furono soltanto tremila.
Comunque, in quel periodo mi offrirono anche la vicedirezione del quotidiano "Italia libera": c'erano Calamandrei, Garosci, Ragghianti. La mia eventuale accettazione fu bloccata dalla notizia che il giornale avrebbe cessato la pubblicazione. Cosí rimasi a Firenze, dove tra l'altro la Mosca si era ammalata. E terminò la mia brevissima carriera politica.
Certe volte si pensa che quelli che fanno carriera politica siano i peggiori. Il torto sarebbe nostro, non loro. Certo il politico finisce per trovarsi irretito in un gioco di compromessi e di corruzione. Una vita impossibile, se uno di noi volesse farla.
Annalisa Cima - C'è chi la definisce reazionario, o quanto meno conservatore…
Eugenio Montale - Sarò anche conservatore; ma che cosa c'è poi da conservare? Quello che non sopporto è il fanatismo. Per esempio. Sono rispettosissimo di tutte le religioni, ma la religione laica mi pare la piú ridicola delle religioni. Il laicismo ha diritto di esistere, ma non credo si possa presentare come una religione. Religioni ce sono già abbastanza.
["Sul lago d'Orta"]
Annalisa Cima - Le Muse di cui parla nel primo verso di Sul lago d'Orta sono da intendere in senso proprio oppure designano scherzosamente delle persone? Usa l'espressione "appollaiate"
per alludere a galline?
Eugenio Montale - La villa l'ho vista da un'altra parte, non sul lago d'Orta. È preso Firenze, a Castello: c'era una villa abitata da nobili. L'ho trasportata ad Orta chissà perché, ma poteva starci benissimo. La villa non aveva balaustrate, non aveva Muse. Le Muse le ho scritte ma non le ho viste. Penso a mezzi busti di terracotta.
Annalisa Cima - Come mai l'ha tanto colpita il noto aneddoto del papa che scherza sulle parole angeli e Angli?
Eugenio Montale - La coincidenza con l'aneddoto è casuale. I bambini erano angeli in quanto inglesi, dopo c'è il background storico. Probabilmente mi sono chiesto se erano quelli che in Toscana si chiamano gli anglo-beceri, ragazzi nati a Firenze piú toscani dei toscani ma inglesi. Sul lago d'Orta non c'era la villa di cui parlo, ma c'era stata comunque una famiglia inglese: se c'erano dei bambini inglesi c'era da chiedersi se erano angli o inglesi, se erano angeli in quanto inglesi italianizzati. Certo se la poesia fosse nata a Firenze sarebbe piú chiara.
Annalisa Cima - Dice Agosti: "Inoltre non immune da stilemi tipici di altre esperienze… l'esperienza di Luzi, di cui ripete il caratteristico tra"; e in seguito individua, per via di anagrammi, numerosi TRA nascosti nel testo.
Eugenio Montale - Non so se il tra sia solo luziano, ci saranno altri precedenti probabilmente. Quanto al vedere tra ovunque, mi pare che qui si faccia una grammatica del subconscio, non si può obiettare niente, si potrebbe interpretare anche in altro modo.
Annalisa Cima - Ritiene sabbiosa erbosa uno "stilema di contraddizione"?
Eugenio Montale - Sabbiosa erbosa non è uno stilema di contraddizione, indica mescolanza, non contrasto. Se io avessi detto sabbiosa e erbosa, a parte il fastidioso incontro delle due e (peggio ancora ed), si creava una bipartizione, da una parte ciotoli, dall'altra erba. Mettendo insieme le cose ho fuso erba e ciotoli, quindi a mio vedere non c'è stilema di contraddizione.